Liquori, mandorle, cinema e osterie: quando Triggiano era "lontana" da Bari
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lunedì 17 settembre 2018
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di Luca Carofiglio
Di “tipico” è rimasto un centro storico grazioso quanto sconosciuto ai più e un gergo dialettale fatto di mille nomignoli e termini unici nel loro genere. Per il resto il paese si presenta come un agglomerato di palazzi, la maggior parte dei quali costruiti senza prestare attenzione a un “disegno” urbano, a strade e spazi comuni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci sono poi locali serali, teatri, musei, librerie e persino i ristoranti si contano sulle dita di una mano. Ad aprirsi come funghi nel corso degli anni sono stati supermercati e bar: esercizi commerciali che è hanno ben poco di “caratteristico”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma la “colpa” di questa trasformazione a chi può essere imputata? Secondo i triggianesi non ci sarebbero dubbi: a Bari. L’allargamento del capoluogo avvenuto proprio tra gli anni 70 e 80 avrebbe portato infatti a una maggiore vicinanza fisica del paese alla grande città e di conseguenza a una sorta di “invasione” culturale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Di fatto Triggiano a un certo punto subì una grande ondata di “forestieri” attratti da case vendute a prezzi inferiori rispetto a Bari – spiega l’84enne Gianni Neglia -. I baresi hanno così contribuito da quel momento alla perdita della nostra identità, indebolendo le nostre abitudini e tradizioni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
C’è da dire che probabilmente il borgo ha subìto anche il fascino della città: i giovani ad esempio a un certo punto hanno cominciato a uscire e darsi appuntamento di sera non più tra le strade di Triggiano, ma nei sempre più numerosi locali baresi.
«In più – commenta l’imprenditore Basilio Lombardi – il paese non ha fatto in modo di difendersi ad esempio costituendo una propria zona industriale che potesse dare la possibilità alle aziende di ingrandirsi e competere sul mercato». «E così la nostra ricchezza è diventata solo un ricordo - commenta amaro il 67enne triggianese “doc” Sebastiano Carbonara -. Un vero peccato, visto che nel 900 avevamo fatto in modo di investire le grandi risorse ricavate dal settore agricolo in attività innovative».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La cittadina infatti in passato era riuscita a esportare una grande quantità di prodotti tra i quali primeggiavano le mandorle. «Erano vendute ovunque – afferma il 52enne Vito Innamorato, studioso della storia del paese -. I Campobasso spiccavano su tutti, ma anche le famiglie Mastrolonardo, Carbonara, Lagioia e Nitti facevano grossi affari, viaggiando negli anni 40 tra Francia, Olanda, Belgio, Germania e Svizzera».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dalle mandorle poi di produceva uno squisito “latte”, un siero dissetante a cui si andavano ad aggiungere un pugno di riso e una stecca di cannella: una tradizione casalinga ormai quasi scomparsa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma parlavamo delle fabbriche. I Lombardi furono i primi a produrre confetti, liquori, sciroppi e citrati. «Mio nonno – spiega Basilio - aprì nel 1896 una storica azienda in via Scarpelli che riuscì a sopravvivere per quasi cento anni. Decidemmo di chiuderla nel 1985, alla morte di mia madre: non eravamo più in grado di gestirla».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una ditta che entrò in concorrenza con quella del signor Domenico Masciopinto, che inaugurò poco prima della Seconda guerra mondiale un’impresa simile a quella dei Lombardi. «L’Ambrina, la Magliarda e il Triple caffè erano i nostri pezzi “forti” – ci dice con malinconia la 54enne figlia Gabriella -. Si trattava di liquori che si vendevano in tutta la Puglia. Purtroppo, nel 1980 quando il mio papà venne a mancare, nessuno di noi figli se la sentì di ereditare il suo lavoro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il fratello di Domenico, Francesco, aprì invece nel 1952 uno stabilimento di savoiardi che ebbe un clamoroso successo. Un posto ricordato da tanti, visto il particolare profumo che i suoi forni a legna emanavano in tutto il paese. «A fine anni 90 però fummo costretti a chiudere – ci dice il figlio Paolo -. I prodotti industriali non permettevano che il nostro savoiardo artigianale sopravvivesse sul mercato, nonostante per più di quarant’anni i “Biscotti Masciopinto” fossero stati il simbolo delle colazioni dei triggianesi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non era di provenienza locale ma rappresentò per vent’anni uno dei cardini dell’economia cittadina la fabbrica di calzature della Superga, che installò nel maggio del 1963 uno stabilimento a sud-ovest dell’abitato. «Fu una tappa fondamentale per la nostra vita – spiega Innamorato -, perché l’azienda torinese portò un modo di lavorare del tutto innovativo. Ad esempio fu creato un asilo nido per quelle mamme che avevano da poco partorito».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma nel 1985 la Superga chiuse e a niente valsero i presidi e le manifestazioni di protesta dei triggianesi. «L’azienda fece i suoi conti e con l’avvento della globalizzazione cominciò a spostarsi fuori dall’Italia, chiudendo i vecchi impianti», sostiene Sebastiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma Triggiano non era solo industria. Il centro storico ad esempio pullulava di osterie e “cantine”. C’era quella di Scachìzz’ nei pressi della pòmb di marang’ e quella di Uominìcch’, chiusa solo nel 1995, che si trovava nei pressi della Chiesa Madre. «Ma in pochi ricordano la cantina di Lisìs e la locanda di Mariannédd’ – sottolinea Innamorato -. La “formula” era comunque la stessa: vino rosso locale, “brasciole” al sugo e tante partite a carte in allegria tra amici».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi invece sono pochissimi i posti dove potersi accomodare e mangiare o bere qualcosa di sera e quelli che ci sono non hanno nulla a che fare con il passato. Come non esistono luoghi per svagarsi, come ad esempio cinema e teatri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In passato invece erano ben tre le sale esistenti in paese. C’era l’Imbriani, inaugurato addirittura nel 1923 nell’attuale palazzo del Municipio. E poi il Lombardi di via Casalino e il cinema Gloria in via Carroccio: tutte attività chiuse negli anni 80. La Sala Italia, il Madison, la Lombardi e l’Hotel San Francisco erano invece le sale ricevimenti dove venivano festeggiati i matrimoni e i grandi eventi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tutti nomi ormai scomparsi, che ricordano un tempo in cui Triggiano brillava di luce propria e quando Bari era ancora tanto “lontana”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Scritto da
Luca Carofiglio
Luca Carofiglio
I commenti
- Danilo - Non è vero che a Triggiano non ci sono punti di ritrovo, ce ne sono almeno 2 che radunano persone che arrivano dai paesi e città vicine. 1 è il PIZZORANTE ARLECCHINO 2 è il caffe HAZZARD i quali sono ben conosciuti al di fuori del paese.